giovedì 26 aprile 2012

#LePiùStrepitoseCaduteDellaMiaVita


Prima ancora di adocchiare questo libro sugli scaffali delle librerie, ne avevo sentito molto parlare. In bene.

Se n’è parlato, e se ne parla tutt’ora, molto su social networks (Michele Dalai, l’autore, è parecchio attivo su Twitter), su riviste (da ultimo, proprio ieri, a pag. 240 di Vanity Fair), quotidiani, radio e persino in trasmissioni televisive.

Diciamo che, con tutto questo parlare, l’aspettativa si era fatta parecchio alta e ho, quindi, iniziato “Le più strepitose cadute della mia vita” con una gran foga. Tant’è che, infatti, le prime dieci/quindici pagine mi sono sembrate andare un poco a rilento. Troppo carica, ero partita decisamente troppo carica. Ero partita aspettandomi il colpo di scena.  

Quindi ho posato il libro e ho lasciato che le info incamerate su di lui mi abbandonassero, per riprenderlo in mano dopo un paio di giorni.

E’ incredibile quanto informazioni, recensioni, notizie in generale, apprese su di un determinato tema ne vadano ad influenzare incredibilmente la nostra percezione.

“Le più strepitose cadute della mia vita” è un libro che inizi con il sorriso sulle labbra, un sorriso che non fa altro che allargarsi nel corso della lettura, sino all’ultima pagina (ho riso come una pazza in parecchi passaggi del libro, davvero parecchi). Chiudi i llibro e stai ancora ridendo (e non solo "sorridendo" eh, ma proprio "ridendo")

Ambientato nella nostra Milano, sul finire degli anni 90, indirettamente, parla in maniera magistrale di una generazione. Quella della fine degli anni 90 appunto. Se ne parla (chiaramente) col senno di poi, ed è questo “senno di poi” che mi ha davvero colpita:

<<l’ordinario ha escluso lo straordinario da qualsiasi palinsesto, non c’è più bisogno di intrattenere perché basta far passare il tempo. Se si va a avanti così, finiremo per guardare in televisione gente che non parla più o che non fa alcuno sforzo per farsi capire, che mangia, caga e scopa in diretta, e noi saremo entusiasti di vederli, al limite un po’ invidiosi di quelli che scopano. In un mondo così, perfino uno come il dj paperottolo potrebbe farcela, ma un mondo così è ancora lontano da venire. Io mi batterò perché non succeda>> (qualcosa mi dice che Antonio Flunke non si è battuto abbastanza, cribbio).

Il protagonista, Antonio Flunke appunto, che nel '97 era un singolare trentenne dal presente improbabile ed avvezzo alle cadute (<<una vita da stuntman involontario>>), attraversa una Milano che ben conosco (<<una città in cui le commesse del quadrilatero della moda non potranno mai comprare - ma solo vendere - quei vestiti, in cui i designer e giovani stilisti portano occhiali ridicoli per impressionare, ma resteranno sempre studenti fuori sede un po' più vecchi...>>), animato da emozioni che mi appartengono

<<non sono mai stato capace di impugnare il coltello dalla parte del manico e finisce quasi sempre che afferro la lama anche quando tutto sarebbe semplicissimo>>

<<Non posso rischiare di risultarmi noioso. Frequento solo me stesso, perdermi come amico non sarebbe salutare.>>

<<Ho ceduto ad urgenze non implacabili per puro spirito di sacrificio>>

Strampalato trentenne, dicevamo, piantato dalla ex con la sola motivazione della “noia”, educato nelle migliori accademie musicali internazionali, che vorrebbe fare il cantante e che si ritrova, invece, a dedicare anima e corpo alla sfida propinatagli dal suo manager: fondare una boy-band…(concetto, quello della boy band, che alla fine degli anni 90 era ben radicato…)

L’autore inserisce periodicamente delle “fotografie” (dettagliatissime fotografie) di cadute eccezionali, così come eccezionali ne sono i protagonisti, avvenute in pubblico, proprio come quelle che vedono come protagonista il nostro Antonio Flunke, (abbiamo Margaret Thatcher durante la visita di stato in Cina, Enrico Berlinguer, Karol Wojtyla, Michael Spinks…).

Un libro che mi ha fatta stare bene, che mi ha regalato momenti nostalgici (incredibile la storia di John Paul Larkin – in arte Scatman John) e momenti (che sono andati per la maggiore) di grande ilarità. Letto (eccezion fatta per la pausa imposta di 48 ore iniziale) in una manciata di giorni.

Mi auguro davvero che Michele Dalai decida di andare oltre l’esordio.



Nessun commento:

Posta un commento